Questo sito usa esclusivamente cookie tecnici di sessione, ovvero i cookie necessari per utilizzare le funzionalità della piattaforma e strumenti ad essi equiparati. Per ulteriori informazioni vai su Privacy policy.
Psicologo clinico, esperto e autore di opere relative all'età evolutiva e alla genitorialità. Svolge attività privata nel Parent Training, nella consultazione alla genitorialità e agli adolescenti.
Consigli per tutti i genitori di bambini difficili
Ci sono bambini con temperamenti più “facili” e altri con temperamenti più ostici e difficili da gestire. Ciò non significa che questi ultimi siano “peggiori” dei primi, ma soltanto che hanno minori capacità di autoregolazione delle emozioni, hanno maggiore necessità dell’intervento dell’adulto per contenerli, e fanno più fatica ad adattarsi a mutate condizioni, a frustrazioni o contrarietà.
Se ritenete di avere un figlio con queste caratteristiche, ricordiamoci innanzitutto di alcuni dati di fatto:
i bambini difficili esistono: è in gran parte infondata l’idea comunemente diffusa che essi siano “solo” il risultato di errori educativi; ancora più infondata è la tesi che le loro reazioni indesiderate siano modificabili attraverso punizioni e correzioni.
È però veritiero affermare che una parte (non la totalità) delle “malefatte” dei bambini difficili deriva dalla spirale negativa tra le loro emozioni incontrollate, i tentativi maldestri del genitore di farle cessare, la delusione e la rabbia reciproca che ne derivano.
I bambini “difficili” sono tali perché caratterizzati da un surplus di emozioni negative incontenibili; non hanno bisogno di più punizioni o correzioni, ma di maggior supporto emotivo da parte delle figure di riferimento; gran parte di questo supporto è fondato sul costante sforzo di mentalizzare, ovvero di interpretare i loro comportamenti, soprattutto quelli più sgraditi, come il risultato di processi mentali formati da emozioni, bisogni e pensieri.
Un equivoco da evitare: comprendere non significa lasciar fare, senza porre limiti al loro comportamento. La presenza necessaria a un bambino difficile è fatta di due parti: la presenza mentale ovvero lo sforzo di mentalizzare, la presenza contenitiva ovvero cercare il contatto fisico in tutte le sue forme, incluso il fermare e il trattenere per evitare che il bambino faccia cose di cui dovrà pentirsi. Ad esempio, se un bambino si mette a lanciare oggetti fragili contro il muro provocando danni, il suo gesto va fermato fisicamente; evitate punizioni o grida, cercando piuttosto di entrare in contatto emotivo con questo bambino che sta andando in pezzi di fronte a una delusione che non riesce a elaborare da sé.
Per quanto lo sforzo di mentalizzare sia alla lunga il rimedio più efficace, è necessario spendere energie per interrompere la spirale di rifiuto e delusione che facilmente si innesca con un bambino difficile. Occorre agire contro l’istinto: più la relazione è negativa più occorre impegnarsi per inserire momenti positivi, armonia, far tornare insomma il sorriso e scoprire la possibilità di trascorrere un buon tempo con questo bambino che così facilmente si maldispone. Anche questa è una priorità: recuperare una relazione positiva.
Di fronte a un bambino difficile troppo spesso si finisce col porsi sempre e solo sulla difensiva, facendo resistenza, quasi temendo di assecondarlo, “che poi se ne approfitta”. In questo modo diventa problematico anche interpretare linearmente e serenamente i suoi comportamenti come il risultato di processi mentali, se siamo nello stato d’animo di volercene difendere.
Per perseguire insieme entrambi gli obiettivi, mentalizzare di più e introdurre aspetti positivi nella relazione, vi proponiamo questo esercizio, che va all’attacco proprio degli atteggiamenti difensivi, dal momento che vi propone di... arrendervi.
Esercizio dell’arrendersi
(Adatto soprattutto alla fascia di età che va da 1-2 anni fino ai 6-7 anni)
Il papà e la mamma, ognuno individualmente, dovrebbero ritagliare nella giornata un momento nel quale potersi abbandonare completamente alle richieste e ai tempi del bambino; indipendentemente che l’altro genitore sia in casa o no, e che ci siano altri fratelli o sorelle, questi momenti dovrebbero essere rigorosamente a due, un faccia-a-faccia tra genitore e singolo bambino. Si può iniziare mettendosi vicino a lui lasciando che vi prenda nel suo mondo; approfittate di una sua proposta di gioco, o fatene una voi, l’importante è cominciare. Per chi non è abituato a farlo, inizialmente bastano alcuni minuti, da aumentare pian piano in base alle possibilità e alle esigenze.
Un esempio: dopo cena il padre (o la madre) si mette vicino al bambino, accetta la sua eventuale proposta di gioco, lo asseconda, gli fa da spalla nel suo giocare, dimenticando per 10, 15 minuti (o più) i tempi, l’ora di andare a letto, lavarsi i denti... e anche il TG, il telefonino, il computer. Il punto importante è entrare nel presente del proprio bambino, vivere l’attimo come lo vive lui, non importa se lo vive più o meno bene, importa viverlo assieme a lui.
Questo esercizio aiuta a migliorare la relazione (spesso sbilanciata verso i bisogni del genitore che ha fretta, che è stanco, che deve andare al lavoro...) ma aiuta anche a sviluppare naturalmente la propria capacità di mentalizzazione. A differenza dei precedenti, l’eserc. n° 4 dovrebbe diventare abituale e essere svolto con costanza e continuità per lungo tempo; solo così darà ottimi frutti. Assai probabilmente vi fornirà spunti di riflessione di validità generale: stare assieme al bambino in questo modo suscita di solito sentimenti vivi, talvolta piacevolissimi, talvolta dolorosi o spiacevoli, tutti da scoprire, da vivere e da conoscere.
La prestazione prevede un colloquio on line audio e video di circa 50 minuti. Destinata a individui e coppie, per avere orientamento su tematiche di relazione coi figli, problematiche educative, comportamenti difficili.