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Ciò di cui parliamo qui è semplicemente un atteggiamento, un modo di guardare i figli come persone che hanno una mente dentro cui stanno sentimenti, bisogni, pensieri, memorie... tutte cose che portano poi i bambini a comportarsi in una maniera piuttosto che un’altra nelle diverse situazioni. Come possiamo descrivere questo atteggiamento? Potremmo scomporlo in tre domande :
Quali sono le emozioni di mio figlio adesso?
Che pensieri e bisogni ha adesso?
Che cosa si aspetta dalle altre persone adesso?
Insistiamo su “adesso” perché la mente dei bambini è in continuo movimento, e dobbiamo porre attenzione al loro presente, non a sentimenti generici e senza un tempo preciso.
Le tre domande in fondo possono essere riassunte in una sola:
Che cosa c’è nella sua mente?
Questa dunque è la Domanda-Base. Togliamo subito di mezzo un equivoco: non potremo mai sapere con certezza la risposta giusta! Ma questo non è il problema: ciò che conta non è avere i raggi X per vedere attraverso il cranio dei figli, ma porsi verso di loro ricordando che tutto quello che fanno o non fanno è il risultato di loro stati mentali.
E la risposta alla Domanda-Base è una idea della mente del figlio in un dato momento X. Forse può sembrare troppo facile o troppo difficile a seconda di come guardate alla cosa, meglio fare un esempio che chiarisca.
Carlo, 2 anni, vede sul tavolo un oggetto di cristallo di cui vuole impadronirsi. Ci prova ma voi glielo impedite e gli dite che è pericoloso e che non deve giocarci. Carlo ripetutamente si arrampica sul tavolo, tocca l’oggetto, vi guarda, lo tocca di nuovo... voi lo ammonite con severità ma appena vi distraete torna all’attacco.
Come descrivereste la situazione? Provate a pensare, poi continuate a leggere. Cosa avete pensato? Qualcosa come “mi sta sfidando” o “non mi obbedisce”? Oppure “è molto incuriosito dal cristallo”? Bene: è soltanto l’ultima affermazione a creare una idea della mente del bambino, le altre due forse descrivono qualcosa delle sue azioni, ma non dicono nulla dei suoi stati mentali! Vediamo un altro caso.
Giorgia, 8 anni, sta per ricevere la visita di Lucia, una amichetta a cui tiene molto, che finalmente ha il permesso di giocare con lei a casa. Appena Lucia arriva Giorgia non fa che parlare a vanvera, fa urletti, manipola giocattoli e oggetti in modo maldestro e rischia di romperli.
Cosa pensereste? Che idea della mente di Giorgia vi fareste? Forse ormai è chiaro che “fa la sciocchina”, “si è montata la testa” non sono vere mentalizzazioni. Forse andrebbe meglio “è troppo eccitata per l’arrivo di Lucia”.
Sulla base di questi esempi, abituatevi a formulare dentro di voi una idea della mente di vostro figlio, e ripetete la cosa finché vi sembra diventare abituale. Cercare di capire cosa passa per la testa dei figli non significa riuscirci al primo tentativo, e non significa riuscirci sempre. Tuttavia l’importante è mantenere l’intenzione di capire, più che il risultato. Mantenere l’attenzione all’idea della mente di vostro figlio nel momento X.
E poi?
Bene, direte voi, l’ho fatto. E adesso? Che faccio? Troppo spesso ci chiediamo “che fare?” quando invece dovremmo chiederci prima “che cosa c’è nella sua mente?”.
Dopo esservi fatta una idea della sua mente ascoltate voi stessi e decidete tranquillamente cosa fare.
Nel primo esempio potreste decidere di mostrare il cristallo al bambino tenendolo in mano al sicuro, in modo da soddisfare la sua curiosità senza rischi e, forse, essere poi obbediti nel divieto di maneggiarlo da solo! Nel secondo esempio potreste ritenere che Giorgia vada un po’ contenuta, ma riconoscendole che si tratta di una innocente eccitazione e non di essere “sciocca” o “cattiva”. E forse eviterete di dirle “se fai così non invitiamo più Lucia”, perché avrete capito che, semmai, è proprio vedendola più spesso che l’eccitazione calerà.
Atteggiamento, non comportamento
Ricordate: non dovete rivolgere ai figli la Domanda-Base. Il genitore deve porla a sé stesso e cercare la risposta nelle sue intuizioni e cercando conferme e correzioni grazie a una attenta osservazione dei figli. Si tratta, insomma, di un atteggiamento da non tradurre in comportamento, del tipo: tormentare i vostri bambini chiedendo loro di continuo “come ti senti? Che cosa provi?”. Non solo non serve, ma diventerà fastidioso. Essi, inoltre, molto spesso non saprebbero che cosa rispondere poiché alla loro età molti stati mentali non sono del tutto consapevoli.
Quando cercate di rispondere alla Domanda-Base, controllate tutte le possibili risposte che sono riferite a voi stessi (le chiameremo autoriferite) e non a stati mentali e emotivi dei figli. “Lo fa solo per farmi dispetto” è diverso da “sta cercando di attirare la mia attenzione perché ne ha bisogno”. La prima non ha un rapporto diretto con la mente di vostro figlio e con i suoi scopi, la seconda sì. Servitevi degli esempi qui sotto per migliorare la vostra capacità di pensare in termini di stati mentali e emotivi interni ai figli evitando risposte autoriferite. Man mano che diventerete esperti di risposte di questo genere, scoprirete che questo modo di porsi provoca in voi minore stress quando i figli sono a disagio.
Spiegazioni autoriferite dei genitori (sconsigliate)
Mi manca di rispetto
È un capriccio così per farmi faticare
Lo fa apposta per vedere fin quando non esplodo
Sa che quella cosa mi dà fastidio e quindi la fa per sfidarmi
Mi vuole intenerire
Proprio ora che non sono in salute lui mi attacca
Spiegazioni riferite a stati interni del figlio (migliori)
È arrabbiato con me per il motivo X
Si sente angosciato e non è in grado di uscirne da sé
È assillato da qualche pensiero o sentimento e vuole essere contenuto o rassicurato da me
Quella cosa ha proprio voglia/bisogno di farla nonostante il mio divieto
È in difficoltà per un piccolo guaio che ha combinato e cerca il mio conforto
È preoccupato per me ma non riesce a esprimerlo
Sono “solo”... piccoli inganni
Talvolta ci inganniamo con le nostre stesse parole, come nei due tipici esempi qui sotto:
Sta solo cercando di attirare l’attenzione
Sta solo facendo un capriccio
Attenti a quando mettete un “solo” nel vostro discorso: sembra che si voglia dire che non c’è bisogno di porsi altre domande, che non ci sia, nel comportamento del bambino, alcun bisogno “reale”. Ma non è così: il bambino ha bisogno dell’attenzione dell’adulto, è per lui un elemento essenziale come l’acqua o l’aria. Se questa richiesta è insaziabile e continua, potrebbe essere un segno di malessere (e non che è “viziato”), ma vale la pena comunque tentare di saziarlo senza combattere contro il bambino. Se nonostante tutto non si tranquillizza e il malessere perdura a lungo, è il momento di chiedere consiglio a una figura esperta.
Inoltre: anche i cosiddetti capricci possono essere sia una fase normale di opposizione che un altro segno di malessere. Comunque: può essere che il bambino stanco “si impunti” e pianga, ma in fondo sta chiedendo di essere consolato, non ignorato.
Continuate ad agire verso i figli come avete sempre fatto, senza alcuna intenzione di comportarvi in modo diverso, ad eccezione del costante sguardo sulla loro mente. Limitatevi a osservare, e più spesso possibile ricordate di pensare ai loro pensieri: “ecco, adesso agisce così perché prova questa emozione e/o perché pensa che...”
Non è da escludere (come negli esempi di Carlo e di Giorgia) che il mettere a fuoco una idea della mente dei figli vi porti a reazioni diverse da quelle abituali: benissimo. Non ponetevelo però come scopo, deve restare un normale risultato di un modo di pensare, e nulla più.
Importante: in questi primi passi cercate di pensare ai loro pensieri soprattutto nei momenti tranquilli e positivi, quando cioè non siete sotto stress per i comportamenti dei figli (i cosiddetti capricci...).
La vostra osservazione, il vostro sguardo sulla mente dei figli deve restare un vostro piccolo segreto, non dovete esternare nulla verso l’esterno.
Ecco due semplici esercizi per allenarvi in questa nuova capacità di comprendere il bambino.
Esercizio n. 1
La macchina del tempo
Prendetevi un momento di relax in solitudine, stendetevi sul divano o sul letto, e azionate ...la macchina del tempo.
Tornate con la memoria a quando eravate bambini e/o adolescenti (in base all’età attuale dei vostri figli).
Ricordate qualche episodio accaduto allora.
Chiedetevi: “Cosa provavo io allora? Quali erano le mie intenzioni? Quali i miei bisogni?”
Ricordate poi come si comportassero i vostri genitori di fronte alle vostre azioni in ciascun diverso episodio.
Domandatevi: cosa provavo io di fronte alle loro reazioni? Mi sentivo compreso? Respinto? Giudicato male? Aiutato?
Potreste desiderare di condividere questi ricordi con l’altro genitore e confrontarvi; certamente ne uscirete arricchiti.
IMPORTANTE: alcune persone non riescono a ricordare nulla o quasi nulla della propria infanzia; se siete una di loro potreste avvertire disagio per non poter eseguire questo esercizio. Non preoccupatevi: cercate comunque nella memoria, ponendo attenzione a stare in grande relax, magari facendovi aiutare dai ricordi dei vostri genitori o di altri adulti che vi abbiano conosciuti da bambini.
Esercizio n. 2
Osservare i comportamenti sgraditi
Osservate in che modo e in quali circostanze i vostri figli adottano certi comportamenti che vi irritano, ad esempio fare a bella posta qualcosa che voi gli avete proibito.
Osservate le conseguenze pratiche di quel loro comportamento, ad esempio: il bambino si arrampica sul tavolo e voi interrompete qualsiasi attività per rivolgervi a lui per ammonirlo. In alcuni casi può essere più semplice chiedersi: “ma che cosa ci guadagna mio figlio a fare questa cosa?”, e qui la risposta potrebbe essere: “l’attenzione della mamma”, ma anche “il piacere irresistibile di andare in alto”, o altro ancora.
Traete le vostre conclusioni: nel caso appena citato il figlio probabilmente:
* vuole sentirsi in relazione con voi e voi non avete risposto ad altre sue richieste in precedenza
* ama stare in alto e sperimentare le capacità del suo corpo
* ama mettersi al livello dell’adulto per sentirsi in contatto
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Comprendere il proprio bambino
Franco Nanni
Psicologo clinico, esperto e autore di opere relative all'età evolutiva e alla genitorialità. Svolge attività privata nel Parent Training, nella consultazione alla genitorialità e agli adolescenti.
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